DI FRANCESCA FRASSINO

Il cielo rosato del tramonto ha lasciato il posto ad una notte stellata d’inizio ottobre. Le foglie ormai deboli degli alberi si agitano ad ogni alito di vento. Il vociare sporadico delle poche anime che sfidano quest’autunno che sembra particolarmente aggressivo fanno da sottofondo. Con una sigaretta tra le dita, mi godo il panorama di una città che pian piano si addormenta. Ho sempre avuto la sensazione che la lentezza della notte sia un’occasione per rimettere in fila i pensieri con pazienza, per poter cominciare un nuovo giorno con una parte di vita capita e sistemata.

A mettere un freno al vagabondare della mia mente, la fisica britannica Kathleen Lonsdale, seduta su una ringhiera con le gambe a penzoloni e quei capelli spettinati che seguono il vento. Sorride aspettando che io metta a fuoco la sua figura.

Kathleen Lonsdale è una donna che nella vita ha fatto e visto quasi tutto, dai legami atomici alle prigioni durante la Seconda Guerra. Oltre che essere una delle prime scienziate elette membro della Royal Society, nel 1945. Ma, forse, viene maggiormente ricordata per aver messo fine ad una diatriba della chimica che occupava la scena da più di sessant’anni: dimostrò, con la diffrazione a raggi X, la planarità dell’anello benzenico e la disposizione dei sei atomi di carbonio a formare un esagono.
La raggiungo e prendo posto sulla ringhiera, pensando che saranno anni che non siedo su una ringhiera e anche che probabilmente con l’età sono diventata più fifona. Non mi sento particolarmente a mio agio; forse lei se ne accorge perché sorridendo inizia a parlarmi
di sé. Mi dice di essere irlandese ma di essere cresciuta in Inghilterra e di essere stata l’unica ragazza a seguire dei corsi di scienze in una delle scuole superiori riservate esclusivamente ai ragazzi; all’età di sedici anni, riuscì ad immatricolarsi al Bedford College for Women di Londra dove scelse di seguire la carriera in fisica: le piaceva molto l’essenza sperimentale della fisica.

“Fa’ gli esperimenti! Non preoccuparti di quello che dice la teoria”, afferma divertita, con una certa enfasi.

Dopo la prima laurea in fisica, le fu offerta una borsa di studio per l’University College di Londra, dove potè lavorare con lo scienziato premio Nobel William Henry Bragg, da cui rimase particolarmente colpita e che le diede una forte spinta nello studio delle strutture dei composti organici. “Mi ha ispirata molto con il suo amore per le scienze pure”, aggiunge con un sorriso nostalgico. Mi racconta che con il gruppo di ricerca guidato da Bragg si lavorava sulla cristallografia e la sua applicazione nello studio della struttura cristallina dei composti organici. Durante quel periodo, pubblicò un articolo scientifico sulla struttura cristallina dell’acido succinico (una molecola formata da una catena di quattro atomi di carbonio, presente in alcuni alimenti e usato come additivo sia in cibi che in cosmetici); con quel lavoro ottenne la laurea specialistica in Fisica, nel 1924.
Nonostante fosse un buon lavoro, soprattutto con le tecniche degli anni ‘20, c’era un errore nella struttura dell’acido – dice con un po’ di rammarico. Eppure, quello che lei chiama “errore”, non le ha impedito di migliorare e di diventare una gigante nel suo campo di ricerca. Inevitabile non pensare che forse siamo proprio noi gli unici a dare un valore troppo elevato ad ogni sbaglio o svista che compiamo, impedendoci di dimenticarcene.

Il vento freddo e tagliente ci attraversa e l’oscurità della notte profonda si prende tutta la scena.

Dopo la laurea, sposò uno studente di ingegneria conosciuto all’ University College e da cui prenderà il cognome. Un sorriso colmo d’affetto la tradisce mentre mi parla di Thomas Lonsdale. Insieme hanno avuto tre figli e le sere a casa Lonsdale – per come le racconta – dovevano essere davvero interessanti, tra bimbi, esperimenti e calcoli in cucina. Avere un partner che comprenda e condivida le necessità familiari e lavorative è essenziale per l’avanzamento di carriera delle donne e non è da sottovalutare – dice, seria. Concordiamo che sì, non era una cosa ordinaria negli anni ‘20 del ‘900 e non lo è negli anni ‘20 del 2000.
E come aveva già scritto lei negli anni ‘70, ribadiamo quanto sia necessaria la presenza di donne che si occupino di scienza ad ogni livello per rendere effettivamente e veramente libera la scelta della propria carriera. Molto fiera, ribadisce gli elementi essenziali – dal suo punto di vista – per poter diventare una scienziata eccellente.

Alcuni di quelli descritti nel suo saggio “Donne nella scienza. Perché così poche?” – sì, Kathleen Lonsdale, tra le altre cose, ha anche scritto molto – sono, appunto, avere un
compagno che supporti e non ostacoli la carriera; avere un’organizzazione impeccabile; mai rifiutarsi di accettare ulteriori incarichi e compiti; imparare a concentrarsi in ogni momento e in ogni dove; dormire poco. Prenderò appunti – le dico scherzosamente. Sorride e continua la sua storia.

Trasferitasi all’Università di Leeds nel 1927 con il marito, nel 1929 pubblicò uno dei migliori risultati della chimica organica: dimostrò la struttura esagonale del benzene e la sua planarità usando la diffrazione a raggi X su un cristallo di esa-metilbenzene (quindi un esagono fatto di atomi di carbonio a cui sono legati altre molecole costituite da un atomo di carbonio e tre di idrogeno). Anche Bragg restò piacevolmente folgorato dal suo lavoro.
Dopo questo sensazionale traguardo, la sua carriera prese una volata, spaziando dalla struttura cristallina dei composti organici allo studio dei legami atomici semplici e doppi. Nel 1936 ottiene il Dottorato di ricerca e nel ‘49 viene nominata professoressa ordinaria di chimica all’University College di Londra. Neanche a dirlo, sarà la prima donna dell’ateneo ad assumere quel ruolo. E il suo studio sui moti vibrazionali degli atomi all’interno delle molecole le valse la candidatura come membro femminile della Royal Society.

Attorno a noi c’è un silenzio quasi inquietante, di quello che ti spinge a sussurrare anche se non ce n’è bisogno. Oltre alle nostre voci, solo il rumore dello zampettio di qualche gatto randagio. Sembra molto soddisfatta mentre mi descrive le sue ricerche e le condizioni un po’ precarie dei laboratori in cui capitava e dei calcoli che svolgeva a casa mentre era in maternità. È davvero difficile non farsi travolgere dal suo entusiasmo. Allora le racconto del libro di memorie scritto dalla sua allieva (poi premio Nobel per la chimica) Dorothy M. C. Hodgink. Non le nascondo che sono rimasta affascinata dalla sua vita, non solo per gli studi fenomenali in chimica, ma anche per la certa determinazione e caparbietà dimostrata nel portare avanti tutte le battaglie in cui credeva: dal disarmo assoluto e di tutti i Paesi alla vita nelle carceri. Di quest’ultimo e delle condizioni delle prigioniere ne scrisse dopo aver passato un mese in prigione per essersi rifiutata, durante la seconda guerra mondiale, di iscriversi alla difesa civile in quanto fervente pacifista, in ogni suo gesto e pensiero. Di quel periodo, racconta di aver passato il tempo parlando e ascoltando le carcerate, facendosi raccontare le proprie vite e i crimini commessi, osservando e comprendendo le loro necessità.
Mentre la notte si schiarisce, le chiedo di ricordare insieme a me quel giorno del 1956, quando venne insignita del titolo di Dama dell’Impero Britannico da parte della Corona per i suoi lavori in campo scientifico. Io sembro l’unica, qui in mezzo, ad essere particolarmente emozionata. Ridendo divertita dal mio infantile entusiasmo, mi dice solo di aver confezionato per se stessa un grazioso cappellino per l’occasione.

I colori rossastri dell’alba iniziano a farsi spazio.
Scendiamo dalla ringhiera e riprendiamo l’uso delle gambe. Prima di lasciarla andare, le faccio presente che una delle rare forme con cui si possono arrangiare gli atomi di carbonio in natura porta il suo nome, la “Lonsdaleite”. Mi sorride caldamente e se ne va.

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