I paper accademici, per prassi, sono scritti con un linguaggio il più neutro e obiettivo possibile. Gli autori sono citati per cognome e, specialmente in inglese, spesso non vi è alcun modo di intuire quale sia il genere delle persone che scrivono o vengono citate all’interno dei testi. Dal punto di vista delle questioni di genere, è un grande punto a favore. Un linguaggio di questo tipo, nella sua neutralità, è un linguaggio inclusivo, che dovrebbe permettere di evitare i bias e i pregiudizi che possono sorgere e quindi inficiare la validità – o la lettura obiettiva – di uno scritto accademico. 

Ma quante volte vi è capitato di dar per scontato che l’autore di un paper accademico fosse un uomo? E quante volte vi siete stupit* – con conseguente senso di colpa – del fatto che chi scrivesse fosse, di fatto, una donna? 

Questa assunzione non è altro che una manifestazione di quello che viene chiamato implicit bias, ovvero quella somma di pregiudizi e convenzioni sociali interiorizzati e inconsci che ci fanno associare l’ambito accademico-scientifico alla figura maschile. Un bias insidioso e involontario che può emergere anche quando si lavora costantemente per decostruirlo, e anche quando razionalmente si è consapevoli dell’ovvia esistenza di accademiche donne. 

NON SOLO BIAS

Tuttavia, la questione dell’autorialità dei paper accademici non è solo una questione di bias. È una questione di visibilità: spesso si dà per scontato che l’autore sia un uomo, perché la maggior parte degli accademici pubblicati, di fatto, lo sono. Perché ai convegni, spesso le Keynote speaker sono solo token di quota rosa. E ancor più banalmente, perché perfino i syllabus sono spesso corollari di saggi e libri perlopiù scritti da uomini. 

Si tratta dunque di una delle conseguenze della sotto-rappresentazione delle donne nell’ambito accademico, le quali sono descritte da una bassa percentuale che tende a calare man mano che il livello professionale sale. 

QUALCHE DATO

Secondo alcune statiche, che riguardano tutti i paesi europei e Occidentali, circa l’80% delle posizioni accademiche è occupato da uomini, i quali detengono con preponderanza il ruolo di Professore Ordinario. La percentuale di Ordinarie cala molto, così come il numero delle accademiche con materiale pubblicato e peer reviewed. Le donne accademiche con pubblicazioni e brevetti firmati, infatti, sono una minoranza statistica.

E l’essere pubblicate, purtroppo, risulta comunque una vittoria a metà: infatti, non solo i paper scritti da accademiche senior sono solo il 25% del totale, ma vi è anche un problema di citazione. Laddove essere citat3 dai colleghi è un metro di riconoscimento, influenza e accettazione dalla comunità scientifica, nonché requisito per promozioni e finanziamenti di ricerca, le ricercatrici e le accademiche sono ancora una volta sotto-stimate. A parità di impegno e coinvolgimento, le donne sono statisticamente meno citate in altri paper accademici, con una media di 36 volte rispetto alle 54 volte in cui gli autori uomini vengono citati. 

E se essere citat* dai colleghi è un metro di riconoscimento, influenza e accettazione dalla comunità scientifica, allora l’assenza delle donne in questi contesti non è che la riconferma del lavoro che ancora vi è da fare per colmare il gender gap nell’ambito accademico.

SITOGRAFIA

https://www.menelique.com/genere-accademia/

https://www.theguardian.com/science/2021/jul/02/papers-by-women-have-fewer-citations-in-top-medical-journals-study

https://www.pennmedicine.org/news/news-releases/2021/july/medical-journal-articles-written-by-women-are-cited-less-than-those-written-by-men

https://www.pennmedicine.org/news/news-releases/2021/july/medical-journal-articles-written-by-women-are-cited-less-than-those-written-by-men

 

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