Una vita di equazioni, prosa e rivoluzione

A cura di Francesca Frassino

Notti euforiche e leggere. Le strade della città hanno ripreso un ritmo che sembrava perso; il suono dei passi e delle risa si propagano in ogni dove; gli animali notturni stanno reimparando a muoversi con cautela.

Decido di confondermi tra la gente, mentre il sole tramonta lasciando spazio alla sera. Mi faccio spazio osservando la felicità negli occhi e nei sorrisi di sconosciuti, di amici che si ritrovano in un bar. Il suono dei miei tacchi sull’asfalto prima si confonde tra gli altri, poi si fa sempre più chiaro e distinto: dal punto più alto e isolato della città mi soffermo ad osservare – in lontananza – tutta quella vita, tutte quelle luci, tutta quella felicità.

E in una notte così limpida, Sofja Kovalevskaja – preannunciata dal fruscìo del suo abito che sfiora leggermente a terra – mi accompagna in un viaggio nella Russia dei tempi della rivoluzione nichilista, per mostrarmi come si fa a diventare una formidabile matematica nell’Europa di fine Ottocento.

Lei, nata nel 1850, si appassiona alla matematica già da bambina, quando le pareti della sua camera nella grande casa di famiglia erano ricoperte con gli appunti universitari del padre sul calcolo differenziale ed integrale. Ogni giorno le guardava cercando di capire cosa potessero dire quei numeri e tutti quei simboli. E a stuzzicare la sua immaginazione, contribuiva anche uno zio paterno dal quale ascoltava – come se fossero racconti – gli ultimi risultati della ricerca in matematica di quei tempi.

“Una scienza misteriosa che apre le porte a un nuovo mondo pieno di meraviglie; un mondo inaccessibile ai comuni mortali”, dice mentre si appoggia alla ringhiera di fronte a lei, alzando leggermente il vestito con una mano. Il suo sguardo rivolto verso la città che sembra ancora più lontana. Si muove con eleganza, senza far rumore. “Non volevo studiare nient’altro che la mia matematica”, voltandosi e accennando un timido sorriso.

Mi confessa che, fin da molto giovane, aveva coltivato la passione per la scrittura e quindi mi parla del suo viaggio a San Pietroburgo con la famiglia, delle lezioni private di matematica sul calcolo differenziale ed integrale, ma soprattutto dell’incontro con Dostoevsky e di come quest’uomo molto più grande di lei l’abbia impressionata. Le piaceva la sua compagnia e gli fece leggere anche qualche suo scritto, dice. Sospira, mentre se ne sta appoggiata alla ringhiera mantenendosi sulle braccia a far girare un fiore tra le dita. Dalla silenziosa ragazza russa non mi aspetto di sapere nient’altro del suo legame con lo scrittore.

In quel periodo, nella Russia zarista, si stava facendo strada il movimento nichilista, che puntava ad un rinnovamento della società e che piantava i suoi punti cardine nella scienza e nell’istruzione e nell’emancipazione femminile; lontano anni luce dall’autocrazia zarista. E lei, questa rivoluzione, l’aveva abbracciata e la rappresentava pienamente con quella sua voglia di continuare a studiare, a qualunque costo e in qualunque posto. Nessuna università russa, però, permetteva alle donne di iscriversi. E allora che fare? Fuggire in Europa. Ma una donna nubile non poteva viaggiare da sola, aggiunge continuando a far girare quel fiore ormai malconcio tra le dita.

Quindi mi racconta di Vladimir Kovalevskj, un giovane studente di giurisprudente appassionato di paleontologia che appoggiava – come Sofja – le ragioni del movimento nichilista. Il loro non fu un matrimonio pieno d’amore ma insieme affrontarono un viaggio verso l’ignoto alla volta dell’Europa, sostenendo a vicenda i sogni e i desideri dell’uno e dell’altra, e parteciparono ai concitati giorni della Comune di Parigi – prima forma di governo democratico-socialista della Francia, risalente al 1871 e portatrice di grosse rivoluzioni sociali che andavano dall’assicurare i servizi essenziali alla libertà di stampa e di pensiero all’uguaglianza di genere.

Tutto questo lo racconta con una voce calma e sommessa, come a non voler squarciare il silenzio che l’avanzare della notte sta portando con sé. E allora, seguendo il suo racconto, siamo giunte ad Heidelberg con una Sofja diciottenne e sposata. Mi dice che anche lì – contro ogni sua aspettativa – non fu facile iscriversi all’università per studiare matematica ma ci riuscì frequentando le lezioni in modo non ufficiale. Mi racconta di aver seguito lezioni tenute da scienziati come i fisici Kirchhoff e Helmhotz e il matematico Konigsberger, che le suggerì di spostarsi a Berlino dove insegnava Weierstrass – uno dei più grandi matematici dell’epoca. E lei partì. Neanche l’università di Berlino, però, accettava le donne, nella seconda metà dell’Ottocento.

E allora lei puntò tutto su se stessa, sulle sue conoscenze e le sue abilità matematiche, risolvendo alcuni problemi che Weierstrass le sottopose. Il professore, rimasto esterrefatto dalle sue capacità, cercò di convincere i membri del consiglio universitario. Fu inutile, aggiunge alzando le spalle. Così, uno dei più grandi matematici dell’epoca le diede lezioni private per quattro anni, al termine dei quali lei presentò tre articoli e ne pubblicò uno su la teoria delle equazioni differenziali parziali. E qui, in questo articolo del 1874, c’è quello che noi adesso conosciamo come il Teorema di Cauchy-Kovalevskaja, uno degl’importanti risultati dell’analisi matematica che stabilisce le condizioni per l’esistenza di soluzioni di una classe di equazioni differenziali. Con un po’ d’ironia le confesso che mi dispiace non avergli dato la giusta importanza durante i miei studi. Si volta a guardarmi accennando nuovamente un sorriso e inizia a passeggiare, afferrando la gonna del suo vestito con entrambe le mani e continua la storia della sua vita tra rivoluzioni da portare avanti, sfide accademiche da sostenere e racconti da scrivere.

Divenne, così, la prima donna dottorata in matematica quando ottenne il titolo all’Università di Göttingen. E dopo? Il niente, nonostante gli aiuti e le pressioni dei suoi vecchi professori influenti. Non riuscì ad ottenere una cattedra in Europa perché una donna docente universitaria non era accettabile, soprattutto se sposata.

Così, con marito al seguito, tornò in Russia ed ebbero una figlia. E lì – m’intrometto nel racconto cercando distrattamente un accendino nella borsa – sappiamo già come andrà a finire. Sofja si volta, annuisce e continua il suo racconto.

In Russia, la situazione era già nota: per una donna non c’erano possibilità di insegnare matematica; non aiutavano i titoli europei e anche le sue idee politiche. Così smise di provare, mi dice. E scrisse la sua semi-autobiografia Una ragazza nichilista, oltre che frequentare circoli letterari di San Pietroburgo e partecipare ai movimenti per aprire un’università accessibile alle donne.

“Memorie di una ragazza nichilista”, 1874

Della sua passione per la matematica che si intreccia con quella per la scrittura dice solo che forse, se ne avesse scelta una, sarebbe stata memorabile in una cosa o nell’altra… Ma non voleva rinunciare a nessuna delle due. Ed eccola, la scienziata scrittrice, che ha dovuto viaggiare continuamente da un posto all’altro solo per poter studiare quello che voleva e per poter lavorare serenamente su quello che aveva imparato e di cui non poteva fare a meno.

Il canto delle cicale accompagna le sue parole, che sembrano essere scelte sempre con molta cura. Non c’è altro rumore attorno a noi: la città è andata a dormire da un pezzo. Ma Sofja Kovalevskaja ne ha di cose da raccontare!

Dopo qualche anno in Russia, torna in Europa: Parigi, stavolta! Neanche lì riesce a trovare un lavoro, così si sposta ad Helsinki e Stoccolma dove, però, anche questa volta le strade sono sbarrate perché una delle menti matematiche brillanti non solo è una donna ma è “una donna nichilista”. Poi qualcosa cambiò, dice mentre si siede su delle scale: il marito lasciato in Russia si suicidò. Questo cambiò tutte le carte sul tavolo: socialmente, una vedova si trova in una situazione in cui è una donna ma a differenza delle altre – inevitabilmente e non per sua scelta – è l’unica padrona di sé stessa. Dopo la morte del marito, quindi, l’università di Stoccolma l’accolse come libera docente. Su questo, però, racconta di aver dovuto dimostrare continuamente il suo valore, molto più degli altri.

Nel frattempo, però, si candidò al Premio Bordin dell’Accademia Francese delle scienze con un suo articolo circa la rotazione di un corpo rigido attorno ad un punto fisso. Sofja vinse quel premio e, l’anno successivo, l’università di Stoccolma decise di darle una cattedra.

Divenne, nel 1889, non solo una delle prime donne ad ottenerla in una università europea ma anche la prima donna ad occuparsi di un giornale scientifico.

Eppure c’era un rumore di sottofondo che l’ha accompagnata per tutto il tortuoso tragitto fino alla gloria: le voci sul rapporto con il suo professore Weierstrass – riconosce guardandomi con un’aria un po’ stanca e un po’ rassegnata – perché per molti europei conservatori, dice, le abilità scientifiche di una donna non potevano essere realmente frutto del loro ingegno e del loro lavoro ma erano attribuibili esclusivamente alla figura maschile di riferimento, qualunque essa fosse. Non riesco a trattenere un’espressione, abbastanza eloquente, di finto stupore.

Sofja Kovalevskaja per tutta la vita, nonostante le tante barriere, ha continuato a dedicarsi completamente al suo lavoro in matematica, senza smettere di essere un’attivista politica, una forte sostenitrice della parità di genere e anche una scrittrice. Prima di lasciarla andare, le prometto che leggerò il suo libro Memorie d’infanzia cercando di tenere vivo il suo ricordo perché è anche grazie a lei se oggi noi donne possiamo sentirci libere di provare a seguire le nostre passioni. Anche se la strada è ancora lunga e piena d’ostacoli.

Mentre la luce del giorno si mostra debolmente, l’odore del caffè invade i vicoli e il rumore dei miei tacchi sull’asfalto torna a confondersi nei suoni di una città che ricomincia a muoversi. Lentamente torno verso casa, assaporando la soddisfazione di essere entrata in contatto con la vita di una donna eccezionalmente forte e brillante e, forse, ancora un po’ troppo sconosciuta.

E la storia di questa Sofja – piena di determinazione, dedizione e coraggio – la dedico ad un’altra Sofia e al suo primo anno di vita, con l’augurio di poter arrivare sempre e solo ovunque lei voglia senza aver paura di buttare giù i muri.

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