DI GIORGIA CUBEDDU
Quando si parla di linguaggio, di statistiche sull’occupazione o sulle cariche di leadership – insomma, di questioni di genere, si usa dire che il nostro è un mondo a misura d’uomo. Al di là delle questioni prettamente politiche, lo è, letteralmente.
La maggior parte delle persone dà per scontato che i prodotti che utilizziamo, i mezzi che usiamo, le divise da lavoro che indossiamo, siano creati per tutti i generi, tenendo in conto anche la comodità delle donne e delle persone AFAB nel design. Invece non è così: di fatto, la maggior parte dei design è basata sulla logica “one size fits all” e la taglia standard non è altro che quella dell’uomo medio abile (possibilmente bianco).
“Va beh” qualcuno dirà, “Ci si è sempre adattat3”.
Sì, ci si è sempre adattat3. E non va bene.
Innanzitutto, perché è concettualmente sessista intendere l’uomo come ideale a cui tutte le altre persone debbano adattarsi. Ma soprattutto perché questo adattarsi dà l’impressione che non ci siano vere e pratiche esigenze di un altro approccio.
Eppure, il fatto che tutto sia costruito secondo la fisicità e la comodità maschile comporta concreti inconvenienti, che vanno da piccole noie – come il non raggiungere i piani alti degli scaffali del supermercato – a problemi sistemici e strutturali che ledono la sicurezza sul lavoro e la salute.
Nel libro della giornalista e attivista inglese Caroline Criado Perez, Invisibili, vengono documentati diversi esempi, dalle banalità a quelle che potrebbero essere considerate a tutti gli effetti micro-aggressioni.
Si parte dalle piccole cose, come la sopracitata altezza degli scaffali al supermercato, oppure il design delle cucine, che nonostante siano ancora in larga percentuale considerate “zone femminili” tendono comunque ad avere parti del mobilio difficilmente raggiungibili. In questa macro-area dei fastidi, si annoverano anche il design della maggior parte degli smartphone, sempre più grandi e meno ergonomici e della cui misura diverse persone, principalmente donne, si sono lamentate.
Salendo di complessità, ecco che le attrezzature da lavoro, come i camici, gli elmetti, gli occhiali protettivi, e addirittura le mascherine FFP2 (lo abbiamo visto durante la pandemia) spesso non calzano perfettamente.
E ancora, pensiamo agli utensili elettrici, intesi prevalentemente per un’impugnatura maschile. Piccolezze, sì, ma che potenzialmente possono causare pericoli e incidenti per la sicurezza personale, perché pensati e fatti per essere indossati bene, ma da corporature e visi più grandi.
La questione si complica ulteriormente quando si realizza che la ricerca e il testing di molti medicinali è fatto solo sul metabolismo maschile, e che le sintomatologie di molte condizioni mediche – come l’infarto e l’autismo – sono basate solo su soggetti maschili cis. Ecco quindi che ci sono frequenti situazioni di over dosaggio o di incompatibilità ormonali delle medicine, oppure situazioni di diagnosi sbagliate o assenti per le persone AFAB (Assigned Female At Birth).
Ma parlando di situazioni ancor più comuni, è ormai ben noto che le cinture di sicurezza non siano fatte per persone col seno; e tutto prende senso quando si scopre che il design e il crash test delle auto si basano su fantocci con la corporatura maschile, rendendo il rischio di ferite fatali per incidente più alto del 73% per le donne e le persone AFAB. Senza contare che statisticamente, la donna media in auto è considerata un conducente “fuori posizione” perché deve guidare molto più in avanti per raggiungere i pedali e guardare oltre il cruscotto, incrementando il pericolo nel caso di impatto.
Insomma, come si evince da questi pochi esempi, si va da piccole ma sorprendenti banalità, a situazioni potenzialmente pericolose, dovute alla generale presupposizione che il restante 50% della popolazione di non-uomini cis e abili debba scendere a compromessi o adattarsi, anche in quei contesti – come quello medico e lavorativo – che dovrebbero tenere in considerazione le esigenze, la salute e la sicurezza di tutt3.
Quando si parla di colmare il gender gap, in particolare nelle STEM, si parla anche di integrare altre esperienze nel processo di ideazione e creazione degli spazi fisici, delle infrastrutture e dei servizi, fino ai mezzi e gli utensili, col fine di colmare quelle lacune che lo standard patriarcale ancora mantiene nella costruzione di ciò che ci circonda. Lacune, va da sé, che sono una conseguenza dell’esclusione, per molto tempo, di una generosa metà della popolazione, e di una cecità rispetto ad un vivere diverso e, talvolta, più complesso.
Viviamo in una società iper tecnologica che vanta la propria inventiva e il proprio progresso nella ricerca, l’eccellenza del design e della tecnica. Di cui però, beneficia solo un gruppo ben definito della popolazione, obbligando il resto ad adeguarsi.
Per questo, una maggiore presenza di donne negli ambiti dell’ingegneria, dell’architettura, del design significa avere professioniste consapevoli delle esigenze di un maggior numero di persone. Un’ottica applicabile a tutte le minoranze, spesso escluse o trascurate strutturalmente nella creazione del mondo circostante.
Ma per attuare questo tipo di cambiamento e innovazione serve una presa di coscienza, che parte dalla conversazione di genere e dalla formazione consapevole delle nuove generazioni.
FONTI
- https://www.washingtonpost.com/entertainment/books/in-a-world-designed-for-men-the-effects-for-women-range-from-inconvenient-to-fatal/2019/03/11/2d3b671e-41e0-11e9-a0d3-1210e58a94cf_story.html
- https://www.worlddata.info/average-bodyheight.php
- Caroline Criado Perez, Invisibili, Einaudi 2022. Link: https://www.lafeltrinelli.it/invisibili-come-nostro-mondo-ignora-libro-caroline-criado-perez/e/9788806252731?lgw_code=50948-B9788806252731&awaid=9507&gclid=CjwKCAiAyfybBhBKEiwAgtB7fsyrVEHKBQKHMNYnUYqFB0YdUciGZ8S5EQJIKrOl_iS7shj82Mc6yBoC5VEQAvD_BwE