LE INTERVISTE IMMAGINARIE ALLE DONNE DI SCIENZA A CURA DI FRANCESCA FRASSINO
L’astronoma che scoprì la materia oscura
Ennesima notte di coprifuoco, una delle prime di inizio estate. L’aria che si respira è calda, leggera e profuma d’erba. Una delle piccole fortune di vivere in una cittadina di provincia, oltre a poter osservare il cielo e godere della luce della luna, è la maestosa presenza del verde che circonda e abbraccia il cemento delle case arroccate. Quindi, in una notte così leggera, decido che farsi accarezzare dalla brezza è meglio che dormire.
Esco in terrazzo, appoggio il mio gin tonic sul tavolino e mi lascio cadere sul divanetto. Il cielo è di un vivido blu scuro; il silenzio – a cui ci siamo abituati – è quasi spettrale. In lontananza solo le voci sussurrate di una coppia che si gode la notte su un balcone.
E in una notte così blu, ad osservare le stelle con me, sorseggiando gin tonic, c’è Vera Rubin – una scienziata che ha passato una vita a guardare il cielo per capire cosa si nasconde oltre l’apparenza – le cui ricerche hanno portato alla scoperta della materia oscura. La sua voce è calda, il sorriso è gentile. Guardando verso l’alto, mi dice che già dall’età di 10 anni sapeva che studiare il cielo sarebbe stata la sua vita perché, ogni notte, invece di dormire – esattamente come adesso – passava le ore a guardare le stelle muoversi.
“La mia cameretta aveva il letto sotto una finestra posta a nord” mi dice sorridendo. Ma forse, a quell’età, probabilmente non aveva idea che sarebbe diventata una pioniera nel suo campo. Quasi come se avesse percepito il mio pensiero, precisa che nella prima metà del ‘900 non c’erano molti college aperti alle donne e, soprattutto, molte ragazze non pensavano che avrebbero potuto scegliere strade diverse da quelle dettate dalla società. “Il problema sta nel modo in cui cresciamo le bambine”, aggiunge.
Cioè bisognerebbe insegnare alle ragazze che possono imparare qualunque cosa vogliano. Con un sorriso amaro le dico che questi problemi ce l’abbiamo ancora.
Mi racconta di aver studiato al Vassar college e che, dopo la laurea, non le fu permesso andare a Princeston perché, fino al 1975, non erano permessi dottorati in fisica ed astronomia alle donne. Comunque si dice abbastanza soddisfatta mentre mi sorride sorseggiando il gin. E infatti, entusiasta, mi parla del master frequentato alla Cornell University dove ha potuto collaborare con fisici del calibro di Richard Feynman e dove ha incontrato il suo futuro marito Robert Rubin, studente di chimica, che – ci tiene a farlo notare – l’ha costantemente incoraggiata a perseguire i suoi studi e le sue ricerche anche dopo la nascita dei figli, quando far combaciare la famiglia e l’università diventò più complesso. “Un gran bella squadra” le dico, giocando con il bicchiere tra le dita.
Della sua carriera accademica mi dice di aver conseguito un dottorato nel ’54 alla Georgetown University, frequentando lezioni serali, con una tesi sulla distribuzione per niente casuale delle galassie: quelli che, adesso, sono noti come “ammassi di galassie”. Quindi, le sue prime ricerche riguardavano il moto delle galassie, dimostrando che, oltre a risentire della Legge di Hubble dovuta all’espansione dell’Universo – si appresta a spiegarmi che in un universo in espansione, la legge correla distanza tra le galassie e la velocità con cui si allontanano tra loro: tanto più sono distanti tanto più velocemente si allontaneranno – ci sono anche dei movimenti dovuti alla loro disposizione in ammassi.
Riprende fiato mentre io preparo un altro giro, attorno a noi permane un’eccessiva quiete notturna, come se tutto si sia fermato per ascoltare le sue parole. Mi dice che non è stato facile essere una delle pochissime donne in un campo in cui la presenza femminile era molto scarsa – e lo è ancora, aggiunge – perché gli accessi agli istituiti e perfino agli strumenti erano negati e bisognava forzare la situazione.
A questo proposito, accenno al fatto che lei è stata la prima donna ad aver avuto il permesso di poter usare il telescopio dell’osservatorio Palomar del Caltech in California. Quasi divertita – con il senno di poi – mi racconta che lì le donne non erano ammesse perché, le dissero, le infrastrutture non erano idonee per l’accesso alle donne. Ride mentre mi dice che, quindi, c’era solo il bagno per i maschi ma alla questione si poteva rimediare facilmente.
Il suo racconto sulla vita accademica continua con la collaborazione con Kent Ford negli anni ’70. Ed è in questo periodo che Vera Rubin sconvolgerà le conoscenze dell’epoca: osservando la il moto delle stelle nella galassia Andromeda, notarono una rotazione anomala. Ci si aspettava, mi spiega, che la velocità di rotazione delle stelle più in periferia rispetto al centro della galassia fosse inferiore rispetto a quella delle stelle più vicine al centro. Loro osservarono, invece, che la velocità delle stelle sia in periferia sia più al centro era pressoché costante. Quindi, allontanandosi dal centro della galassia, la velocità di rotazione delle stelle non diminuiva. La ricerca, a questo punto si faceva interessante – le suggerisco porgendole il bicchiere.
I due scienziati si chiesero, quindi, cosa nell’universo avesse un effetto gravitazionale sulle stelle periferiche tanto da evitare che queste venissero sbalzate lontano. Si ipotizzò, allora, la presenza di un qualcosa dotato di massa ma che non emette radiazioni elettromagnetiche ed è, quindi, impossibile da osservare. La materia oscura, appunto. Mi dice che le sue ricerche ci misero un po’ di tempo per essere accettate dalla comunità scientifica, cosa che avvenne sul finire degli anni ’70, anche perché non era un concetto entusiasmante.
Nel frattempo, mentre Vera Rubin faceva compiere all’astronomia passi da gigante, divenne madre di quattro figli che poi diventarono scienziati. Mi dice che non fu facile conciliare famiglia e lavoro, per esempio perché aveva necessità di avere orari differenti. E mi racconta di quando, nel dicembre del 1950 andò a presentare un lavoro sulla velocità di distribuzione delle galassie – in cui si ipotizzava che le galassie ruotassero attorno ad un centro ancora sconosciuto – all’ American Astronomical Society con marito, un figlio appena nato e genitori al seguito. Non permise – continua – ad un professore di andare al posto suo anche perché, in realtà, lui avrebbe presentato quel lavoro a nome suo. Quel giorno, quasi nessuno prese sul serio quel lavoro che anni dopo si rivelò avanguardia pure e il Washington post, il giorno dopo, pubblicò un articolo dal titolo “Giovane madre scopre il centro della creazione dal moto delle stelle”. Un classico!
Nel tempo, nonostante le prime scottanti delusioni e varie risposte negative, divenne un’astronoma affermata, membro della National Academy of Sience e anche della Pontificia Accademia delle Scienze – e non perse tempo per rimarcare la scarsa presenza di scienziate anche lì – poi vinse la medaglia d’oro della Royal Astronomical Society e anche la National Medal of Science. Ma perché non il Premio Nobel? Ufficialmente, sembra che il problema fosse la natura ancora ignota della materia oscura; secondo me, in aggiunta, non è da sottovalutare l’evidenza che difficilmente il Nobel viene dato ad una donna: dal 1901 al 2020, infatti, solo tre donne hanno vinto i Nobel per la fisica. Mentre ragiono ad alta voce sulla questione, Vera Rubin sorride, dicendomi che per lei il premio più grande è sapere che gli astronomi usano e useranno i suoi dati.
Continua parlando dei figli scienziati, soprattutto della figlia, diventata un’astronoma. Un po’ amareggiata, però, mi dice di aver notato ancora molte barriere per le donne nel campo scientifico; “Alcune cose sono migliori, ma non abbastanza”, dice.
Vera Rubin, nell’arco della sua carriera è sempre stata fonte di ispirazione per le studentesse di materie scientifiche e ha sempre rimarcato la scarsa presenza femminile nell’astronomia e nella scienza in generale. Le dico che oggi noi portiamo avanti le sue battaglie perché viviamo ancora in una società che, nonostante i passi in avanti, vuole sbarrarci la strada per relegarci in un posto prestabilito. E noi, le dico con solennità quasi come se le stessi facendo una promessa, continueremo ad abbattere i muri e a scardinare gli stereotipi di genere per far sì che tutte le porte siano aperte e che l’unica forza motrice delle donne sia la passione e la voglia di imparare.
“Non ci sono problemi scientifici che possono essere risolti dagli uomini che non possono essere risolti da una donna”, mi dice alzando un po’ il bicchiere verso di me.
Al di là delle montagne il sole comincia a sorgere e la luce rosata dell’alba si fa spazio prepotentemente. Le voci sussurrate della notte fanno spazio ai rumori di una cittadina che si sveglia e ricomincia a vivere, seppur lentamente. Inizio un nuovo giorno cercando di tener ben fissato nel cervello l’insegnamento di Vera Rubin di non lasciarsi mai fermare da chi pensa che tu non sia brava abbastanza.
Scopri la bibliografia
LeScienze, “Vera Rubin, la signora della materia oscura”
https://www.lescienze.it/news/2016/12/28/news/vera_rubin_1928_2016-3363332/
Scienza per Tutti, INFN https://scienzapertutti.infn.it/rubriche/biografie/2990-cooper-rubin-vera
Vera Rubin interview by Alan Lightman, American Institute of Physics
https://www.aip.org/history-programs/niels-bohr-library/oral-histories/33963
Gettoni di Scienza, Rai Radio 3
https://www.raiplayradio.it/playlist/2019/08/Vera-Rubin-9add47ee-05fd-488b-a947-4703021c2eb4.html
Media Inaf, “Addio Vera Rubin, signora della materia oscura”
https://www.media.inaf.it/2016/12/27/vera-rubin-obituary/
Gal Hassin, Centro Internazionale per le Scienze Astronomiche Isnello, “Vera Rubin, la donna che portò alla luce la materia oscura”
http://galhassin.it/vera-rubin-la-donna-che-porto-alla-luce-la-materia-oscura/
Nature, “Vera Rubin, astronomer extraordinaire – a new biography”
https://www.nature.com/articles/d41586-021-00734-4