Di valentina iesari

Sulle praterie alpine dell’altopiano del Tibet, sono le donne ad avere un ruolo di rilievo nell’agricoltura e nell’allevamento degli animali domestici. Infatti, a causa delle radicate tradizioni della regione, le donne svolgono la maggior parte del lavoro pesante, mentre gli uomini gestiscono l’ambito del processo decisionale della comunità rurali. Inoltre, è consuetudine che molti giovani maschi, lasciato il nucleo familiare dopo l’infanzia, diventino monaci buddisti, abbandonando di conseguenza le attività agricole e pastorali.

In questo quadro sono allora le donne ad essere fisicamente coinvolte nell’ambito zootecnico, responsabile negli ultimi decenni di radicali cambiamenti nel ciclo del carbonio degli ecosistemi dei pascoli alpini.

Le steppe tibetane comprendono il 40% di tutto il carbonio immagazzinato nei pascoli della Cina, un segnale del fatto che questi ecosistemi hanno un effetto di lunga durata sui cicli globali del carbonio. Le donne nomadi, allevando il bestiame, sono responsabili della raccolta e dell’uso del letame come combustibile e della produzione di prodotti lattiero-caseari, attività lavorative che impattano significativamente nella produzione di CO2 nell’ecosistema alpino.

Per ridurre al minimo i rischi del riscaldamento globale, l’Accordo di Copenaghen del 2009 ha raccomandato che le concentrazioni in atmosfera dei gas serra dovrebbero essere contenute al di sotto di 441 ppm entro il 2100, riducendo l’impatto di tutte quelle attività lavorative che favoriscono le emissioni di CO2, CH4 e N2O. Le donne nomadi tibetane potrebbero quindi essere fautrici di questo obiettivo, applicando il modello dell’Agricoltura Conservativa (AC), che introduce tecnologie innovative e metodiche tradizionali, volte a mitigare l’esaurimento dei nutrienti del suolo e il degrado ambientale nelle aree montane, promuovendo uno sviluppo economico sostenibile.

Dal 1990 al 2009, l’importanza delle donne come intese come forza lavoro è cresciuta. La popolazione femminile è passata da 0,9 a 1,2 milioni nelle aree rurali, con la maggior parte di quest’ultime impegnate in attività come la mungitura del bestiame, la produzione di formaggio e burro chiarificato, l’essiccazione della ricotta, la frittura dell’orzo, la produzione di energia elettrica, la raccolta, l’essicazione e lo stoccaggio del letame.

Questi lavori hanno un impatto significativo sul bilancio del carbonio negli ecosistemi delle praterie alpine. Il carbonio, infatti, può rientrare nel sistema attraverso due percorsi: tramite la diretta decomposizione di composti naturali in carbonio (escrementi) oppure tramite la produzione di carne, latte e cuoio.

Le donne nomadi, quindi, giocano un ruolo chiave nel ciclo del carbonio tramite i prodotti lattiero-caseari, favorendo l’uscita del carbonio fotosintetico delle piante attraverso il sistema “pianta-bestiame-atmosfera”. Infatti, nelle praterie alpine del Tibet, senza gli animali, il carbonio viene fissato attraverso la fotosintesi e il suo conseguente accumulo nella vegetazione dei pascoli. Inoltre, le basse temperature degli altopiani favoriscono un ambiente ipossico che riduce la capacità dei composti in carbonio di decomporsi. Ciò si traduce in un rapido stoccaggio di CO2, promuovendo un meccanismo di feedback positivo nell’ecosistema alpino.

Dagli anni ’70 però le rese dei prodotti animali sono aumentate, con il risultante incremento del consumo da parte del bestiame di vegetazione erbacea, che ha ridotto la capacità rigenerativa dei pascoli e alterato il ciclo del carbonio. Un tasso di pascolo molto importante ha diminuito l’effetto netto della fissazione della CO2, con conseguente riduzione della biomassa vegetale.

L’economia delle donne nomadi del Tibet però dipende direttamente dagli equilibri dell’ecosistema alpino, che stanno rischiando di alterarsi definitivamente. Una probabile soluzione potrebbe essere cercata nelle stesse attività agricole che quest’ultime gestiscono. Ad esempio, lo stoccaggio del letame riduce il numero di arbusti autoctoni raccolti per produrre combustibile per il riscaldamento domestico; raccogliendo lo sterco del bestiame, le donne nomadi favoriscono dunque la rigenerazione della vegetazione e lasciando una piccola quantità di escrementi nei pascoli, consentono la continuazione del normale ciclo dei nutrienti. Accorgimenti come questi, implementati in un piano gestionale come quello dell’AC, garantiscono una riduzione dell’erosione del suolo e il mantenimento del bilancio del carbonio su scala più ampia

L’applicazione del modello dell’Agricoltura Conservativa può allora risultare in un approccio femminista volto alla comprensione dei costi e benefici economici per le donne nomadi del Tibet.

Le società pastorali di quest’ultime sembrano infatti giovare da una crescente leadership femminile; le capacità decisionali delle donne sembrerebbero aiutare le esigenze specifiche dei diversi membri della comunità, rafforzando la collettività.
Per far sì che questo processo di sviluppo si consolidi, la governance deve puntare ad una politica interdisciplinare, considerando l’impatto di genere, economico e ambientale della regione e migliorando gli standard educativi delle donne nomadi e delle loro imprese agricole.

Vuoi saperne di più? Scopri la bibliografia!

Dong, S.K., R.J. Long and M.Y. Kang (2003) “Milking and milk processing: traditional
technologies in the yak farming system of the Qinghai-Tibetan Plateau, China”. International Journal of Dairy Technology 56(2): 86-95.

Halbrendt J., A.H. Kimura, S.A. Gray, T. Radovich, B. Reed and B.B. Tamang. (2014) “Implication of conservation agriculture for men’s and women’s workloads among marginalized farmers in the central middle hills of Nepal”. Mountain Research and Development 34(2): 214-222.

Hobbs P.R., Sayre K., Gupta R. (2008) The role of conservation agriculture in sustainable
agriculture. Philosophical Transactions of the Royal Society 363: 543-555.
Knowler D, Bradsgaw B. (2007) Farmers’ adoption of conservation agricutlture: A review and synthesis of recent research. Food Policy 32(1): 25-48.

Lee DR (2005) Agricultural sustainability and technology adoption: Issues and policies for
developing countries. American Journal of Agricultural Economics 87(5): 1325-1334.
Li J. & X.A. Yang (2005) “Gender role of female and their social level change of Tibetan
population in Gannan”. Lanzhou Xuekan 6:110-113.

Miller D (2003) Tibet: Environmental Analysis. Background paper, in preparation for USAID’s program.

Radel C. & D.L. Coppock (2013) The world’s gender gap in agriculture and natural resources: evidence and explanations. Rangelands 35(6): 7-14.

Ramanathan V. and Y.Xu (2010) “The Copenhagen Accord for limiting global warming: Criteria, constraints and available avenues”. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 107(18).

Shang Z., White A., Degen A.A., Long R. (2016) Role of Tibetan Women in Carbon Balance in the Alpine Grasslands of the Tibetan Plateau. Nomadic People 20: 108 -122.

Shrestha D.P., Zunk J.A., Van Ranst E. (2004) Modelling land degradation in the Nepalese
Himalaya. Catena 57(2):135-156.

Ulambayar T. & M.E. Fernàndez-Giménez (2013) Following the footsteps of the Mongol queens. Why Mongolian pastoral women should be empowered. Rangelands 35(6): 29-35.

Yu X.J. (2010) The Role and Mechanism of Yak Dung on Maintenance for Qinghai-Tibet Plateau Alpine Grassland Health. PhD Thesis. Gansu Agricultural University, Gansu.

Zhu L., D.A. Johnson, W. Wang, L. Ma and Y. Rong. (2015) “Grazing effects on carbon fluxes in a Northern China grassland”. Journal of Arid Environments 114: 41-48.

<strong>Valentina Iesari</strong>
Valentina Iesari

Biologa Ambientale, laureata presso la Scuola di Bioscienze dell’Università di Camerino (Italia), ha lavorato in diversi laboratori italiani e esteri come assistente di ricerca (Max Planck of Animal Behaviour, University of Konstanz, Germania). Le sue passioni sono la zoologia, l’ecologia e il comportamento animale. Nel 2020 inizia la sua esperienza nella divulgazione scientifica tramite brevi articoli su blog e social network.

Rispondi