le Interviste immaginarie alle donne di scienza a cura Di Francesca Frassino
Notte gelida e silenziosa di fine novembre, solo il fruscìo degli alberi e la luce argentea della luna che illumina le strade vuote.
A rompere il silenzio, il rumore di un accendino. Lise Meitner, appoggiata alla ringhiera del balcone, accende un’altra sigaretta e me ne passa una. La sua figura si perde nel buio della notte. La fisica ha un’aria stanca, tipica di chi si porta dietro i segni di una vita non facile.
Mi dice di essere nata in Austria verso la fine dell’ ‘800, in una famiglia numerosa in cui lo studio era sempre incoraggiato. Questo le permise di laurearsi all’Università di Vienna e conseguire il dottorato con il famigerato fisico Boltzmann; e accenna con il capo ai miei appunti scritti alla rinfusa sulla mia collezione di lavagne magnetiche appoggiate al muro del salotto di casa mia. Boltzmann, lo stesso fisico che la raccomandò a Max Planck – anche lui presente sulle mie lavagne – e che le insegnò che “la fisica non è solo una disciplina scientifica ma una continua battaglia per la verità ultima”.
La tristezza per il suo suicidio si intravede nello scintillio dei suoi occhi. “Amo la fisica”, dice, come per spostare l’attenzione su qualcos’altro mentre espira lentamente il fumo.
Allora le racconto della strana emozione che ho provato quando sono riuscita a trovare un suo articolo del ’39 scritto insieme al fisico Otto Frisch, suo nipote, Determination of Uranium by Neutrons: a new type of Nuclear Reaction. Con un accenno di sorriso, mi racconta della semplicità con cui è stata raggiunta quell’idea – in un periodo in cui la ricerca scientifica era concentrata sugli studi degli elementi transuranici e il risultato del bombardamento dell’Uranio con neutroni – mentre passeggiava nei boschi innevati della Svezia con il fisico nipote, appuntando i suoi calcoli su un foglio di carta.
La sua passeggiata portò la Meitner a capire che l’atomo di Uranio, se opportunamente bombardato con neutroni, si scompone in due elementi più leggeri, liberando una gran quantità di energia.
Così, passeggiando, Lise Meitner scoprì la fissione nucleare.
Passeggiando, capite? Io sono incredula… e la mia incredulità la diverte.
Fu quindi lei a scoprire quella stessa fissione nucleare che sta alla base del progetto Manhattan che la fisica non approvava. Suo malgrado, anni dopo, venne riconosciuta come “la madre della bomba atomica”.
Quando le chiedo del motivo per cui non ricevette il premio Nobel per quella scoperta importante di per sé e per quel preciso periodo storico, alza le spalle e mi dice solo che il premio andò al suo collaboratore Otto Hahn, con cui iniziò a lavorare al termine del suo dottorato – quindi dai primi anni del ’900 – all’Università di Berlino.
Prendendosi del tempo, come se stesse scegliendo con cura le parole da pronunciare, si sofferma sul fatto che i due iniziarono una collaborazione nel 1907, quando non tutte le università erano aperte alle donne e l’accesso ai laboratori era riservato esclusivamente agli uomini.
Che fare allora?! Lavorare nel capanno degli attrezzi e svolgere esperimenti complessi di radioattività con strumentazioni rudimentali.
Una vita professionale tutta in salita, durante la quale lei fece studi impeccabili di radioattività α,β,γ e i relativi processi. Lise lavorava nel laboratorio come “ospite non pagato” ed era costretta ad entrare dalla porta di servizio per poter lavorare alle sue ricerche di radiochimica.
All’inizio del secolo scorso, negli anni fra il 1906 e il 1930, ha dimostrato di essere una scienziata creativa e intelligente, conquistando diversi meriti e 48 candidature al Nobel, di cui 29 per la fisica e 19 per la chimica: le sue conferenze erano piene di colleghi attenti e interessati, divenne professoressa e contribuì attivamente alla conoscenza sempre più completa del comportamento degli elettroni e dei nuclei atomici e anche all’ ampliamento della Tavola periodica degli elementi.
Divenne la prima direttrice del dipartimento di fisica delle radiazioni nel 1918, dopo aver vinto la medaglia Leibniz per la scoperta di un isotopo stabile del Protoattinio, ma con una paga nettamente inferiore al suo collega Hahn.
Mentre spengo la mia sigaretta e lei ne accende un’altra, le dico mestamente che qui, ad oggi, le cose non sono completamente cambiate.
Uno dei suoi collaboratori, il chimico Straussmann, la definì come leader intellettuale del team anche se non era fisicamente presente durante le sperimentazioni per la fissione nucleare, perché era il ’39 e la fisica fu costretta a lasciare la Germania per fuggire in Svezia, passando per l’Olanda e la Danimarca, non senza difficoltà. Eppure, negli articoli scientifici che gli altri due membri del team pubblicarono in quel periodo, la Meitner e il suo lavoro non vennero mai menzionati. Esattamente come non vennero mai menzionati durante e dopo la premiazione di Hahn.
“Io faccio parte di un passato che lui aveva rimosso”, dice. E ci tiene a precisare che ricevette una parte in denaro del Nobel di Hahn, che lei trasferì all’associazione creata da Einstein per promuovere l’uso pacifico dell’energia nucleare.
Mi racconta di non essere riuscita a tornare in Germania, alla fine della Seconda Guerra, dopo gli orrori messi in atto da quel popolo tedesco che prima l’accolse e poi la costrinse a scappare per l’Europa e non sopportava l’idea di lavorare fianco a fianco con quei suoi colleghi tedeschi di nascita che non si sono mai opposti con veemenza a quegli eventi al limite del surreale, continuando a lavorare per la Germania nazista.
Si aggiusta i suoi capelli neri legati in un basso chignon, sospira e continua a raccontarmi del terribile periodo iniziato con l’annessione dell’Austria alla Germania.
Mi dice che non poteva lasciare la Germania senza avere una posizione in un altro Paese; in aggiunta, c’era una legge che vietata agli “scienziati non ariani” di lasciare la nazione, nonostante le sue conoscenze con membri rilevanti della comunità scientifica e del Terzo Reich. Dopo aver ottenuto la posizione in Svezia all’Istituto Nobel – non particolarmente interessato alle sue ricerche sulla radioattività – divenne una clandestina perché per raggiungerla doveva oltrepassare la frontiera con un treno, scegliere luoghi poco frequentati e sperare nella clemenza delle guardie tedesche (Hahn le aveva dato anche un anello di diamanti con cui lei avrebbe potuto corromperle) per raggiungere l’Olanda che le aveva concesso un visto “…solo per un transito veloce verso la Svezia”.
Finita la fuga rocambolesca, la scienziata riuscì a riprendere i suoi studi e le sue brillanti ricerche in Svezia, collaborando con Frisch, collega e famiglia, che volle scrivere sulla sua lapide “Una fisica che non ha mai perso la sua umanità”. Passato quel periodo travagliato, in Svezia divenne professoressa all’Istituto Reale di Tecnologia, prima di trasferirsi a Cambridge.
Nel frattempo, le luci della notte stanno facendo spazio alle luci del giorno, con uno splendido cielo rosa all’alba. Lei interrompe la sua storia e spegne la sua ultima sigaretta.
Non ha mai voluto scrivere un’autobiografia ma ha lasciato la sua firma nei processi di decadimento radioattivo.
Non ha ricevuto il Nobel che le spettava ma a lei è dedicato il Meitnerio, 109Mt,
l’elemento instabile ottenuto bombardando il Bismuto (209Bi) con nuclei accelerati di Ferro (58Fe).
In questa notte gelida e silenziosa di coprifuoco, la sua voce ha catalizzato l’attenzione su una storia poco conosciuta ma di inestimabile importanza per la scienza.
Vuoi saperne di più? Scopri le fonti!
https://scienzapertutti.infn.it/rubriche/biografie/3129-meitner-lise;
https://oggiscienza.it/2018/08/31/lise-meitner-scienziata-innamorata-fisica-avrebbe-dovuto-vincere-
nobel/
http://scienceandwomen.blogspot.com/2008/10/lise-meitner-remembered-40th.html
https://www.treccani.it/enciclopedia/lise-meitner/
Ruth Lewin Sime, Lise Meitner and the Discovery of Fission, Reflections on Nuclear Fission at Its Half-
Century, Sacramento City College, Sacramento, CA 95822
Meitner, L., Frisch, O.R. Disintegration of Uranium by Neutrons: a New Type of Nuclear
Reaction. Nature 143, 239–240 (1939). https://doi.org/10.1038/143239a0
