Valentina Iesari

Tra gli anni ’70 e ’80 lo sviluppo economico dell’Amazzonia è stato orientato all’aumento dello sfruttamento minerario e forestale, favorendo attività agricole ed allevamenti intensivi. Di conseguenza, è stata creata una rete stradale interna, sono state concesse terre per schemi di colonizzazione privata e lo spazio occupato dai piccoli proprietari terrieri si è ampliato. Nel corso dei decenni successivi una politica così mirata ed aggressiva, rispetto alle condizioni del territorio, ha provocato la deforestazione, il degrado ambientale e la migrazione delle popolazioni autoctone rurali verso le aree urbane, caratterizzate da precarie condizioni di sostentamento.

La Regione della Foresta Amazzonica si presenta quindi come una delle aree dove le popolazioni indigene del Sud del mondo sono più vulnerabili, a causa di una stretta dipendenza dei mezzi di sussistenza dalle risorse naturali. Se questo forte legame viene meno, i rischi della salute legati al clima, come la trasmissione delle malattie infettive tramite l’alimentazione e le acque superficiali, diventano sempre più urgenti.

Qualcosa però negli ultimi vent’anni ha iniziato a cambiare.

Le donne indigene della regione amazzonica brasiliana hanno cominciato a riorganizzarsi in microimprese collettive, con lo scopo di contribuire al rafforzamento economico delle comunità interne. Infatti, 150 attività economiche, coadiuvate da sole donne, hanno costituito il Rural Women’s Microenterprise Network (RMERA), con la missione di creare e sostenere valori sociali, impegnati in processi comunitari d’innovazione sostenibile.

L’Amazzonia brasiliana è un luogo di estrema importanza per capire come queste microimprese possono lavorare nella gestione delle risorse forestali. La pianura centrale dell’America Latina contiene il 64% delle foreste tropicali del continente e il loro management è un’attività cruciale per le comunità rurali. La nascita di queste microimprese fa parte di un cambiamento a favore delle politiche socio-ambientali, volte a concentrarsi sulla silvicoltura comunitaria e sui mercati dei prodotti forestali, per ridurre la deforestazione e promuovere migliori standard di vita per le comunità indigene.

Il degrado delle aree boschive per l’utilizzo in attività come l’agricoltura e l’allevamento riduce la sicurezza alimentare e il profitto dei nuclei familiari, creando inoltre uno sbilanciamento anche nei ruoli occupati da entrambi i generi.

Nelle popolazioni rurali dell’Amazzonia, infatti, è presente una eterogeneità nei ruoli di genere: sia uomini che donne sono responsabili all’approvvigionamento alimentare e idrico della famiglia, ma se le risorse di sostentamento sono carenti, gli uomini sono costretti a migrare per inserirsi nel mercato del lavoro, lasciando la propria proprietà a conduzione familiare per lavorare nelle fabbriche o nelle città. Di conseguenza, le donne vedono assumersi il ruolo di capofamiglia, dovendo però far fronte ad una drastica diminuzione all’accesso di materie prime.

Dal 1985, una politica favorevole ad una riforma nella gestione forestale, ha favorito lo sviluppo di queste micro-attività collettive, ponendole come una soluzione alla problematica della deforestazione. Queste organizzazioni collettive femminili si presentano come sistemi misti, che a seconda della regione e della risorsa presente nell’area possono lavorare in diversi aspetti della lavorazione e commercializzazione di un prodotto. I dati del RMERA mostrano che queste microimprese, facendo affidamento sulle risorse forestali, sono capaci di produrre anche prodotti non legnosi, fruibili nel settore farmaceutico e dell’artigianato, come utensili e piante medicinali.

MISURARE L’EFFICIENZA

Per verificare effettivamente se questo impianto economico possa essere una risposta alle difficoltà ambientali dell’Amazzonia, tuttavia, nel 2017 gli esperti Mello e Schmink hanno concluso uno studio volto a quantificare la capacità di questo nuovo sistema produttivo. Nella ricerca sono state intervistate 65 donne partecipanti ad undici microimprese collettive in due stati centrali del Brasile: il Pará e l’Acre. Lo scopo era quello di registrare gli impatti della partecipazione delle donne nelle microimprese collettive e di conseguenza la loro influenza sull’uso delle risorse.

Si è osservato che negli ultimi 10 anni lo stato di Acre, a partire dal 2001, ha perso il 13% della copertura arborea, mentre il Para l’11%. Questa differenza paesaggistica tra le due regioni è risultata influire direttamente sulle attività produttive delle microimprese. Le donne imprenditrici dell’Acre, lavorando prodotti provenienti dalle foreste primarie, hanno stimolato azioni volte a mantenere la foresta permanente, mentre le comunità rurali nel Pará, nonostante vi fosse l’intento di attuare politiche economiche più resilienti in relazione all’ambiente, non hanno riscontrato gli stessi risultati, poiché i prodotti agricoli e manifatturieri provenivano da una comunità vegetale secondaria, più carente sul lato della biomassa. 

A prescindere da questo primo riscontro, le donne indigene che hanno partecipato al progetto hanno dichiarato di aver ottenuto una maggiore consapevolezza sull’ambiente circostante e sulle pratiche per la gestione delle risorse naturali, risultato in un migliore accesso alla terra e alle materie prime.

Un po’ di numeri

  • Il 45% delle donne ha affermato che il rimboschimento ha favorito il ritorno della fauna selvatica, favorendo quindi un ritorno alla caccia di piccoli animali come fonte di sostentamento.
  • Il 58% ha riferito di aver ridotto il numero degli incendi per ottenere terre dedite alla coltivazione.
microimprese collettive
  • Il 34% ha iniziato a lavorare nella gestione forestale
  • il 20% nella produzione e conservazione delle piante medicinali
  • il 17% si è dedicato alla zootecnia

Avere quindi nei pressi della loro abitazione un maggior copertura boschiva permette un aumento della sicurezza alimentare ed economica. In particolare, uno stabile approvvigionamento dei nutrienti fondamentali, come proteine animali, frutta e verdura, permettono alle comunità interne della Foresta Amazzonica di ridurre le problematiche relative al loro stato di salute e di limitare l’incidenza di malaria, leishmaniosi, febbre gialla e colera, per giunta amplificate dai rischi del cambiamento climatico.

Tali risultati dimostrano che l’emancipazione economica delle donne ha contribuito a rafforzare la loro capacità di governance e un miglioramento della loro consapevolezza sulle questioni ambientali su scala regionale.

Le rivendicazioni ambientali di queste comunità rurali associate allo sviluppo economico hanno permesso di ottenere visibilità come agenti di sviluppo sostenibile nella Foresta Amazzonica, partecipando a dibattiti sul lavoro e sulla conservazione dell’ambiente.

Le donne a capo di queste attività sono riuscite a garantirsi uno spazio politico, per cercare di contrastare la deforestazione e l’inasprimento della questione finanziaria.

Uno sguardo al futuro

Gli effetti socio-economici di queste iniziative vanno però ancora compresi nel dettaglio sia sul piano del reddito che su quello dell’impatto ecologico, in quanto è assai complicato misurare gli effetti di conservazione delle microimprese, a causa della loro piccola scala e delle variabili condizioni ambientali che governano l’ecosistema amazzonico. Servirebbe un maggiore investimento in simili progetti, concentrandosi inoltre su uno studio e un’analisi a lungo termine.

Sfortunatamente, le prospettive future per un supporto finanziario per le donne indigene e le loro comunità sono poco luminose. Negli ultimi 10 anni il Brasile si è trovato di fronte ad una forte crisi amministrativa ed economica e la sua traiettoria politica sembra andare contro corrette rispetto ad uno sviluppo sostenibile. La potente lobby agraria brasiliana è riuscita ad annullare le precedenti politiche ambientali, perseguendo gli interessi dell’agro-business, che hanno incluso grandi progetti infrastrutturali come autostrade e dighe idroelettriche. In questo modo, le donne indigene dell’Amazzonia stanno rischiando perdere per sempre la loro casa e con essa anche la possibilità di un futuro migliore.


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<strong>Valentina Iesari</strong>
Valentina Iesari

Biologa Ambientale, laureata presso la Scuola di Bioscienze dell’Università di Camerino (Italia), ha lavorato in diversi laboratori italiani e esteri come assistente di ricerca (Max Planck of Animal Behaviour, University of Konstanz, Germania). Le sue passioni sono la zoologia, l’ecologia e il comportamento animale. Nel 2020 inizia la sua esperienza nella divulgazione scientifica tramite brevi articoli su blog e social network.

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