L’esperienza di Lucia Mascotelli e Arianna Izzi, autrici di una testi di master in Giornalismo e Comunicazione istituzionale della scienza all’Università di Ferrara.
Prima di pensare all’argomento di tesi, dopo un anno di lezioni di giornalismo scientifico, ci ronzavano già in testa due domande:
Quale e quanta responsabilità hanno i media nella narrazione della realtà che ci circonda?
Quanto sono in grado di influenzare e orientare lo sguardo -e quindi le scelte- del pubblico che legge?
Partivamo dalla supposizione che nella selezione delle notizie da trattare, dei titoli da riservare alle news e nella scelta delle singole parole da inserire in un articolo, questa responsabilità venisse spesso dimenticata a fronte di “necessità di click”. Crediamo, invece, che il linguaggio – scritto e verbale – sia un mezzo efficace attraverso cui affermare un sistema egualitario e promuovere un cambiamento di mentalità e visione del mondo.
Dall’analisi dei titoli delle principali testate italiane, che ha rappresentato il cuore del nostro lavoro, è emersa una narrazione delle scienziate che ancora poggia sui più disparati stereotipi di genere: il contributo alla scienza e tecnologia delle scienziate è perennemente sottomesso al genere e a tutti quei ruoli e quelle immagini che tradizionalmente vengono associati alla donna. Si fa uso di una sfera lessicale che, inevitabilmente, rimanda alla cura, alla famiglia, alle emozioni, che diventano il punto focale del discorso e oscurano la ricerca e le competenze delle scienziate stesse.
In un contesto già penalizzato -o, forse, “penalizzato anche a causa di”-, la percentuale di donne che si iscrivono e che proseguono la propria carriera in ambiti STEM è bassa, tra le più basse in Europa. Anche per questo, nel momento in cui una scoperta, un premio, o un avanzamento scientifico avvengono per mano -o mente- di una donna, questo viene percepito come un fatto eccezionale o raro rispetto al caso in cui sia un uomo il protagonista della vicenda.
Ecco quindi che gli articoli, e soprattutto i titoli, diventano sensazionalistici. Ma è davvero opportuno concentrarsi sul genere, tralasciando identità e competenze della scienziata? È davvero così straordinario che una donna riesca a raggiungere questi successi? No, non dovrebbe esserlo, ma lo resta fintanto che il genere femminile verrà visto come la variazione dalla norma, fintanto che non si normalizzerà la presenza delle donne in ambiti scientifici riservando loro lo stesso trattamento e rispetto delle competenze, della professionalità e identità che si adotta per la narrazione al maschile.
Le scienziate, e le donne tutte, hanno diritto, necessità e impazienza di leggere e percepire un cambiamento nell’utilizzo della lingua, scritta o parlata, che sia consono ai tempi e al progresso culturale e scientifico che viviamo. Non solo. Per secoli riposte in gabbie di genere da un sistema sociale patriarcale e misogino, oggi le donne -tra cui le scienziate- pretendono di vedere riconosciuto a pieno titolo il diritto di partecipare al progresso tecnologico e scientifico, alla vita culturale, politica ed economica degli stati senza che questo venga svilito, camuffato, estrapolato. Senza che questo costituisca notizia, risulti straordinario o concessione altrui.
Essere una scienziata deve poter essere considerato semplicemente normale. Questo è ciò che auspichiamo per il futuro.
Vuoi saperne di più?
Qui puoi trovare il decalogo delle buone pratiche per raccontare le scienziate nei media concepito e realizzato da Lucia Mascotelli e Arianna Izzi.