DI FRANCESCA FRASSINO
Data Feminism è un libro del 2020 scritto da Catherine D’Ignazio e Lauren F. Klein.
In una società che cerca di capirci sempre di più di data science e di come questa si applichi alla quotidianità, è un libro che non può mancare sul comodino o nella memoria dello smartphone. Peccato che esista solo in inglese.
Per leggere, capire e appassionarsi a questo libro non è affatto necessario essere un data scientist, perché le due autrici – oltre ad usare pochi tecnicismi – fanno grande uso di esempi concreti e familiari.
Il libro è composto di sette capitoli, uno per ogni principio cardine del data feminism, cioè un modo di ripensare all’analisi dei dati (dal raccoglimento fino alla loro comunicazione) applicando i dogmi del femminismo intersezionale.

Quali sono quindi questi sette principi e perché sono la chiave di volta del libro?
Esaminare il potere è il primo principio e, quindi, il primo capitolo del libro. Secondo questo principio il data feminism deve essere in grado di analizzare come potere e privilegio agiscono nella società.
Sfidare il potere è il secondo principio, che pone al data feminism di sfidare le disproporzioni di potere con l’obiettivo di raggiungere una società più giusta.
Valorizzare l’empatia e la personificazione è il terzo principio, che ci invita a valorizzare emozioni e sentimenti derivanti da ogni esperienza di vita ricordandoci che sono una parte fondamentale dell’essere umano: deumanizzare i dati non li rende più oggettivi.
Ripensare binarismi e gerarchie, quindi contrastare ogni tipo di binarismo e classificazione che vanno a perpetuare le oppressioni sociali, è il quarto principio.
Avere una visione pluralista è il quinto principio, secondo il quale una completa conoscenza deriva dalla sintesi delle più varie e disparate prospettive.
Considerare il contesto: per una corretta ed etica analisi dei dati è necessario riconoscere che i dati non sono mai neutri e oggettivi ma sono sempre il risultato di una società sproporzionata.
Rendere visibile il lavoro, cioè riconoscere e dare valore alle molteplici persone che ci sono dietro al lavoro di squadra in data science (così come in tutti gli altri campi). Questo è l’ultimo principio nonché ultimo capitolo del libro.

Scorrendo i capitoli, risulta evidente che i sette principi del data feminism sono imprescindibili l’uno dall’altro e la loro corretta applicazione porterà i dati a svelare tutto quello che possono, anche quello che non sanno (l’assenza di dati è anch’essa un dato!).
Proprio perché il cuore del libro è il femminismo intersezionale, il problema di come lo squilibrio di potere e l’iniquità della società odierna si riflettono nella scienza dei dati viene affrontato non fermandosi solo alle questioni di genere ma prendendo in considerazione ogni tipo di minoranza e di oppressione.
Le due autrici, mediante l’uso di esempi molto vicini alla vita di tutti i giorni, mostrano quanto i nostri bias (di genere o razziali, per esempio) vadano ad inficiare gli algoritmi e le analisi dei dati: questo si verifica perché i gruppi di lavoro sono costituiti esclusivamente da persone appartenenti ai cosìddetti “gruppi dominanti” (per esempio gruppi composti da soli maschi bianchi etero). Essendo i modelli di analisi disegnati da un ristretto gruppo di persone con esperienze simili – gruppo che, quindi, non è rappresentativo della popolazione – è inevitabile che questi vadano a rimarcare tutta quella serie di pregiudizi intrinseci che ci portiamo dietro da secoli.
Un approccio femminista in data science fa sì che si possano connettere i dati al contesto nel quale questi sono stati prodotti, per comprendere meglio eventuali limitazioni o condizioni di privilegio e di potere che inevitabilmente danno voce ad una verità parziale. È, infatti, importante chiedersi e comprendere quali gruppi di persone vengono esclusi da una determinata analisi e quali altri gruppi ne traggono un qualche beneficio.
Quello che vuole insegnarci questo libro è che i dati non sono mai neutri ma raccontano le esperienze e le conoscenze del gruppo di persone che li hanno raccolti, analizzati e comunicati. Captare questa loro caratteristica ci permette di comprendere con maggior cognizione di causa il mondo che questi dati vogliono rappresentare.
Il libro Data Feminism risulta essere un ottimo strumento per cambiare (in meglio) il nostro modo di approcciare la data science, perché ci insegna a leggere i dati con una visione più ampia.
Dopo la lettura di questo libro ci si sente molto più consapevoli e si acquisisce una visione del mondo dei dati decisamente più matura. E, a volte, basta semplicemente ricordarsi che dietro ad ogni dato raccolto, analizzato e comunicato ci sono le persone, con tutto il bagaglio di esperienze che le caratterizza.