DI FRANCESCA FRASSINO
Sarà sicuramente capitato molte volte anche a voi di sentire e di pensare “quella persona è un genio!” per riferirsi a qualcuno particolarmente abile e capace in una certa disciplina, soprattutto quella che a noi sembra più ostica.
Non è affatto raro imbattersi nell’immagine del genio descritta come una persona particolarmente preparata in una determinata area di competenza ed eccezionalmente brillante in un certo campo. Tipicamente, il campo in questione è scientifico e la persona è un maschio. Per capire la portata della questione può essere utile fare riferimento ai protagonisti di film e serie TV, ispirati a storie vere o di fantasia, come per esempio Will Hunting in “Genio Ribelle” o Tony Stark, Iron Man, o ancora tutto quello che è stato creato attorno alla figura di Steve Jobs. L’elemento comune di prodotti commerciali come questi è un uomo che eccelle in matematica, scienza e tecnologia perché possiede delle capacità intellettive eclatanti.
Ma cosa comporta perpetuare questo tipo di narrazione, accentuata soprattutto nel caso di persone che studiano o lavorano nel campo delle STEM?
In primo luogo, potremmo focalizzarci sull’errata convinzione secondo cui per poter intraprendere una carriera in campo scientifico bisogna necessariamente avere doti intellettive particolari, finendo per oscurare tutto il duro lavoro – a partire dallo “studio matto e disperatissimo” durante gli anni di università fino ad arrivare ai compromessi inevitabili tra lavoro e vita privata – necessario per raggiungere certi livelli d’eccellenza.
Inoltre, con questo tipo di aspettative, inevitabilmente si finisce imbrogliati in una narrazione tossica che vede il genio in questione essere disposto a immolarsi per la causa e a possedere un’elevata tendenza a sacrificare tutte le altre sfere della propria vita in favore del lavoro.
L’immagine del genio che in solitaria si districa tra problemi matematici e tecnologici – oltre ad essere inesatta – scoraggia gli studenti, deresponsabilizza scuola e famiglia (“non è portat* per questa materia” quante volte l’abbiamo sentito?) e fa circolare l’errata convinzione che attorno al genio non ci sia mai un team di persone “comuni” che si dedicano al lavoro con tutti i mezzi a loro disposizione. Non si dovrebbe mai dimenticare, infatti, che quando il “genio da premio Nobel” ritira la sua medaglia, dietro le quinte si nasconde una marea di persone che ha lavorato insieme per ottenere un risultato comune.

Quando si etichetta una persona come “genio”, automaticamente ci si riferisce a qualcosa di raro, ovvero a un dono che questa persona si ritrova a dover gestire. E, qualche volta, capita che tra questi pochi eletti sbuchi qualche donna. Anche in questo caso valgono tutte le considerazioni precedenti ma dobbiamo aggiungerne un’altra: ovvero l’impatto sulle ragazze.
Secondo i dati1, le studentesse iscritte in una qualche facoltà scientifica sono in numero inferiore rispetto agli studenti. Una delle varie cause che spingono le ragazze a non iscriversi ai corsi STEM è – ancora! – la convinzione che le ragazze siano meno portate per le materie scientifiche rispetto ai ragazzi della stessa età. A questa situazione, oltre ad avere un impatto non indifferente sulle scelte future delle studentesse, si aggiunge la scarsa conoscenza della vita e degli studi di diverse scienziate – passate e presenti – a cui le ragazze possano guardare con aspirazione (conosciamo tutti Marie Curie, ma poi?). Se sommiamo queste problematiche alla rappresentazione della scienziata che è diventata tale semplicemente perché possiede capacità intellettive sbalorditive, si potrebbe far lasciare intendere che per intraprendere una carriera nel campo scientifico sia necessario possedere delle doti sovrumane o un’intelligenza superiore alla media.
Molte storie di vita vera – che magari non sono diventate un film e non diventeranno delle serie TV – sono l’emblema che quasi mai si nasce bravi in una disciplina ma lo si diventa e, per eccellere, sono necessarie tante cose, tra cui una rete di protezione umana ed economica, per esempio, ma anche anni di studio – tanti o pochi non è una regola, dipende dalla persona – e buoni insegnanti. E, certe volte, anche la buona sorte di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
Questo tipo di considerazioni possono essere valide per qualunque tipo di genio che vogliono propinarci, sia quello matematico sia quello letterario o artistico. Ma perché non si sente la stessa necessità di avere figure eccellenti con doti eccezionali quando ci si allontana dalle cosiddette scienze dure?

Quando si bollano come difficili determinate discipline si cade nell’errore di considerare tutte le altre più semplici. Questo errore ne genera un altro ovvero quello di bollare tutti gli altri campi lontani dalle STEM, stranamente, più accessibili perché meno complessi: in questi casi siamo più propensi a considerare lo studio come uno strumento essenziale a disposizione di chiunque per poter apprendere e migliorarsi, quindi difficilmente si necessita di una figura eccezionale a cui far riferimento, semplicemente perché non sarebbe credibile o perché non sembra essere necessaria dato che “si è bravi tutti, no?!”.
Io sono sempre stata dell’idea che, a parità di condizioni (elemento importantissimo!), tutte le persone hanno le capacità intellettive per poter fare qualunque cosa perciò la figura del genio che riesce a comprendere cose che nessun altro riesce a capire non mi ha mai convinta. Quindi, per quanto possa sembrare una narrazione affascinante e particolarmente prestante per cinema e libri, si tratta di una visione irrealistica che possiamo tranquillamente lasciare al mondo della finzione, ricordandoci di non farci mai travolgere dall’esistenza di miti inarrivabili.