LE INTERVISTE IMMAGINARIE ALLE DONNE DI SCIENZA A CURA DI FRANCESCA FRASSINO


La fisica che dimostrò la non conservazione della parità

Quando le giornate sono complesse, la notte con i suoi silenzi e i suoi colori mi aiuta a distaccarmi dalla realtà, un po’ per respirare e un po’ per cercare di comprenderla. La pioggia tagliente e ininterrotta facilita questo passaggio e il suo scrosciare è come un metronomo per i pensieri. Apro la finestra, lascio entrare quel forte odore di pioggia e di erba bagnata. Fuori solo la luce fioca di qualche lampione, dentro solo la luce rossa di una lampada da terra.

In questa notte buia, senza luna, il crepitio della pioggia accompagna le parole di Chien-Shiung Wu: prima donna Presidente dell’American Physical Society. Si accomoda composta in una poltrona di fronte alla mia, i capelli scuri perfettamente legati in un elegante chignon.

Nel campo della fisica nucleare, il suo nome è legato ad un esperimento – “Esperimento di Wu”, appunto – che aveva l’obiettivo di dimostrare la violazione della parità nelle interazioni deboli (una delle forze fondamentali della natura). Mi spiega che si parla di parità, in fisica, quando una funzione che descrive una legge resta invariata se viene invertito il segno delle coordinate spaziali. La conservazione della parità, fino a quel momento, sembrava inviolabile. Per il suo esperimento, utilizzò un isotopo radioattivo del Cobalto, il Cobalto-60 cioè un atomo di Cobalto con diverso numero di neutroni rispetto al Cobalto naturale, a una temperatura di -273,15 °C. Per decadimento Beta, il Cobalto-60 si trasforma in Nichel, emettendo un elettrone. L’obiettivo era osservare la direzione di emissione degli elettroni e, con questo esperimento complicatissimo, lei riuscì a dimostrare che gli elettroni venivano emessi in direzione opposta rispetto a quella ipotizzata. Questa scoperta destabilizzò le certezze e aprì a nuove sfide e a nuove considerazioni per una maggiore comprensione della fisica delle particelle.

Una scoperta così importante merita il premio Nobel e infatti lo vinse: nel 1957 il premio Nobel per la fisica andò ai fisici Tsung Dao Lee e Chen Ning Yang che ne avevano formulato la teoria, lasciando nell’ombra la scienziata che la dimostrò.

A quanto pare la conservazione della parità manca in fisica ma anche nelle interazioni tra le persone, le dico. Lei accenna un sorriso e mi racconta di essere stata premiata in seguito con il premio Wolf, la National Medal of Science e anche diverse lauree ad honorem. Perfino con un francobollo, aggiungo io.

La vita di Madame Wu

Madame Wu nacque in una Cina che ancora trovava difficile disabituarsi alla fasciatura dei piedi delle bambine e alle stesse non era ancora permesso andare a scuola. Per fortuna di nascita, i suoi genitori credevano fortemente nell’uguaglianza di genere e il padre fondò una delle prime scuole femminili che lei, naturalmente, frequentò. Studiò in Cina fino alla laurea in fisica e, dopo un’esperienza nel campo della cristallografia a raggi X, partì per gli Stati Uniti con una borsa di studio dell’Università del Michigan dove, però, non arrivò mai. Una lontananza durata quasi quarant’anni, aggiunge. Con un sorriso un po’ amaro, racconta di essere arrivata lì con la speranza di trovare un ambiente più progressista e all’avanguardia e, invece, si è scontrata con una società che non permetteva alle donne di entrare nei laboratori delle università o di gestire un progetto di ricerca.

La finestra è ancora aperta, una tazza di tè fumante nelle nostre mani mentre lei racconta la sua avventura americana. Arrivata negli States, fa tappa all’Università di Berkeley dove incontra il suo futuro marito – il fisico Luke Yuan – che le permette di visitare i laboratori di fisica sperimentale. Lì conosce il fisico Lawrence che le offre una borsa di dottorato. E sotto la guida di Lawrence e del fisico Segrè, si specializza in fisica nucleare.

Da lì a poco, Madame Wu sarà conosciuta come “la regina della fisica” e diventerà un’esperta del fenomeno del decadimento Beta dei nuclei atomici. A questo proposito, le faccio notare che il suo libro Beta Decay, del ’66, è ancora un’ottima guida per gli studenti. Proprio perché considerata la migliore nel suo campo dalla comunità scientifica di allora, venne chiamata a partecipare al Progetto Manhattan con il compito di lavorare sull’arricchimento dell’Uranio. Interrompe un attimo la sua storia per spiegarmi che questo è un processo di concentrazione dell’Uranio-235 – radioattivo – a partire dall’Uranio-238, più abbondante in natura ma meno radioattivo. Questo processo rese possibile la realizzazione della bomba atomica: l’obiettivo del progetto.

Mentre si confida, diventa sempre più evidente la forte disparità di genere della società e le difficoltà riscontrate da una donna per entrare a far parte di quel mondo prettamente maschile. Infatti mi racconta di quando lasciò Berkeley per andare a insegnare sulla costa atlantica dove, però, non le era concesso fare ricerca… E non perché non fosse competente. Si buttò, quindi, a capofitto nell’insegnamento.

Una donna poteva insegnare, certo, però non nelle università più prestigiose. Lei, il cui lavoro sull’arricchimento dell’Uranio venne ripreso da Enrico Fermi e da Emilio Segrè e che scoprì la violazione della parità con un esperimento complicatissimo e mai tentato prima, riuscì a diventare la prima professoressa dell’Università di Princeton solo grazie alle pressioni del fisico Lawrence sulle istituzioni.

La regina della fisica conclude la sua storia ricordandomi la necessità di forzare le serrature, ora come allora, affinché ogni donna possa sentirsi veramente libera.

Il giorno tenta lentamente di farsi spazio tra la notte mentre io ringrazio Madame Wu perché se oggi celebriamo la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza è merito suo e delle altre scienziate che, con tenacia e passione, hanno buttato giù molte porte.

Francesca Frassino
Francesca Frassino

Laureata in chimica, considero la scienza l’espressione massima del genere umano e mi piace raccontarla. Appassionata di biografie per la sensazione che resta quando si concludono: aver vissuto in ogni epoca e in ogni strada ed aver creato un legame con il personaggio di turno. Per questo scrivo storie in prima persona.
L’espressione che maggiormente mi rappresenta è: “Sono io Paperino!”

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