DI VANESSA BERTI

Con l’avvento dei media è diventata sempre più fondamentale la questione della rappresentazione, che ha portato a numerose trasformazioni nell’ambito comunicativo.   Possiamo riscontrare un aumento di rappresentazioni corrette riguardanti alcune minoranze (come etnie emarginate, comunità LGBTQAI+ e genere femminile), ma la meta da raggiungere è ancora molto distante.

Ma in realtà, quanto influiscono le rappresentazioni di determinate categorie sulla società?   

Le cosiddette teorie del riflesso, ben note in ambito sociologico, si suddividono in due correnti di pensiero che vedono da una parte la cultura come riflesso della società (approccio marxista e funzionalista) e dall’altra la società come riflesso della cultura (approccio weberiano). Mentre secondo la prima ciò che per esempio vediamo in tv rappresenta una forma espressiva di una determinata società in una determinata epoca, per la seconda è ciò che viene trasmesso a influenzare determinati comportamenti e atteggiamenti, oltre a veicolare determinati stereotipi poiché essendo gli esseri umani bisognosi di conferire significato a ciò che li circonda la cultura, in quanto apportatrice di significato, deve in qualche modo avere un’influenza sulla società.                          

Tali approcci però si fermano al rapporto tra oggetto culturale (in questo caso la rappresentazione visibile nei vari prodotti mediatici) e mondo sociale, senza tenere in considerazione i creatori e i ricevitori che rendono questo rapporto estremamente imprevedibile.       

Spesso le innovazioni culturali sono fortemente auspicate ma non riescono a realizzarsi a causa della dimensione materiale: ne è un esempio il caso delle donne in carriera della Gran Bretagna che costituiscono la maggioranza della forza lavoro ma che non riescono a sfruttare al meglio le opportunità e si trovano costrette a rimanere a casa a causa dell’elevato costo degli asili.

Nel mondo odierno si lotta molto per un aumento della rappresentazione di figure femminili all’interno del campo delle materie STEM, ma perché questa rappresentazione è così importante?                                   

Per dare una risposta è utile riprendere un processo che avviene nel campo della moda ma che è applicabile a questa analisi in quanto concorre alla costruzione e al perpetuamento di determinati stereotipi: le tre fasi dell’apparenza del sé di Stone. Egli sostiene che esistono tre fasi che  delimitano rispettivamente il periodo nell’età evolutiva precedente al gioco, quello del gioco egocentrico e quello del gioco sociale:

  • nella prima fase (investitura) sono i genitori i soggetti attivi nell’imporre ai figli determinati capi di abbigliamento e non altri e implica una ricerca negli abiti di un significato che acceleri in qualche modo l’identità del ruolo sessuale e di genere;
  • la seconda fase (costume variabile) è caratterizzata dalla ricerca attiva neƏ bambinƏ di diversi ruoli da interpretare secondo i modelli reali o immaginari offerti dal mondo adulto e dai media;
  • nella terza fase (uniforme) si assiste al passaggio dal costume indossato per definire un’identificazione di ruolo fantastica, all’uniforme che delinea un’effettiva e reale appartenenza ad un gruppo sociale e ad un determinato ruolo.

Nel caso della nostra analisi è la seconda fase quella fondamentale: vediamo infatti come gli individui nell’età della scolarizzazione fino alla pubertà abbiano la tendenza a imitare i modelli che li circondano, influendo sulla loro identità che si  verrà a delineare successivamente. Motivo per cui la rappresentazione di donne impegnate nel settore delle materie STEM diventa sempre più essenziale per incoraggiare le future donne a intraprendere un percorso in tale ambito, così come è essenziale il ruolo dei media in quanto mezzi di veicolazione e divulgazione.            

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