DI MATTEO ANGELUCCI
“Se le donne non si vedono sullo schermo come professioniste STEM, è meno probabile che proseguano quei percorsi di carriera.”
Queste parole sono state pronunciate da Geena Davis, attrice premio Oscar, attuale presidente del Geena Davis Institute on Gender in Media.
Secondo il Geena Davis Institute solo il 37% dei personaggi STEM interpretati al cinema sono donne. C’è quindi una forte sottorappresentazione per quanto riguarda i personaggi femminili STEM nei film e nelle serie tv. Ciò è avvalorato anche dal fatto che, secondo la ricerca, genitori, insegnanti, norme sociali, e rappresentazioni dei media, svolgono tutti un ruolo nello scoraggiare ragazze e donne dall’entrare nei campi STEM.
Purtroppo, però, anche laddove è stata rappresentata, molte donne STEM non si sono ben viste. Addirittura, le rappresentazioni mediatiche dei personaggi STEM portano un messaggio profondamente negativo, ovvero che le professioni STEM sono esclusivamente per gli uomini bianchi. Altro messaggio scoraggiante è quello secondo cui le ragazze e le giovani donne devono sacrificare la loro vita personale e familiare se vorranno intraprendere una carriera STEM.
In aiuto, però, in questo senso è venuta incontro la serie tv X-Files (Fox, 1993-2002; 2016-2018), grazie al personaggio di Dava Scully interpretata da Gillian Anderson. Grazie, infatti, al cosiddetto “Effetto Scully”, c’è stata letteralmente un’impennata per quanto riguarda l’avvicinamento delle donne nel campo STEM. La protagonista è riuscita a fare breccia nel cuore del pubblico, grazie al suo carattere deciso e alla sua intelligenza è riuscita a cambiare la percezione di molte persone.

Negli anni ’90, Scully era un netto allontanamento dallo stereotipo di genere di uno scienziato. Il suo personaggio fonde le norme tradizionali di femminilità e mascolinità per interpretare un agente sul campo coraggioso ed equilibrato che funge da contrappeso al suo partner eccentrico e talvolta irregolare, Fox Mulder. È la metà logica e scettica del duo, che sfida costantemente lo stereotipo della “damigella in pericolo” salvando la situazione con il suo ingegno e la sua arma.
E poi, tempo dopo, sul grande schermo arrivano loro. Donne, scienziate, di colore: tre stereotipi in uno. Tre ingredienti per la ricetta perfetta de “Il diritto di contare” (2016), film su tre donne che grazie alla loro enorme capacità, riusciranno ad entrare in collaborazione con la Nasa per il progetto Mercury che darà poi il via alla missione Apollo 11. Film estremamente importante, per la tematica STEM (le tre donne sono matematiche e ingegnere) per la questione di genere e ovviamente per quella razziale. Quindi, con un film solo si toccano ben tre tematiche: genere, STEM ed etnia.
Penso sia un caso non banale, anzi, oserei dire quasi rivoluzionario. Bisognerebbe ripartire da film come questi, da tematiche così importanti, ecco provare anche a metterle, perché no, insieme e provare a dare una spinta decisiva verso l’abbattimento degli stereotipi di genere e razza.
Grazie a questo tirocinio sono venuto a conoscenza del documentario “Picture a scientist” (2020), che racconta con dovizia di particolari, l’esperienza di alcune donne scienziate e di ciò che hanno subito (violenze, molestie) solo per il fatto di essere donne.
Introducendomi in questo campo che non conoscevo (quello STEM), ho preso coscienza di quanto sia discriminato. Per cercare di vedere tutto a 360 gradi, per avere una visione più chiara e lucida, ho cercato di provare la sensazione di essere una donna (cosa che sto facendo anche ora mentre scrivo). Perché solo così ho avuto la possibilità di immedesimarmi completamente.
Come un attore di fronte ad un ruolo di un personaggio deve entrarci con tutto se stesso – metodo Stanislavskij docet – così io ho provato a capire come si sentisse una donna STEM, come se fossi un’attrice sottopagata, come si sentisse una donna continuamente molestata nel proprio posto di lavoro, come sentisse una donna che si sente dire continuamente “questo non è un lavoro da uomini”, insomma come si sentisse una persona che viene continuamente discriminata solo per essere se stessa.
Matteo Angelucci, 26 anni, è laureato al Dams (Discipline delle arti, musica e spettacolo) di Roma Tre. A Marzo 2022 si è laureato al Citem (cinema, televisione, produzione multimediale) a Bologna , portando una tesi sugli stereotipi di genere nel cinema e facendo un excursus che prende in esame la storia del cinema per vedere come e se è cambiata nel tempo la concezione della donna davanti e dietro lo schermo, e se in positivo o in negativo.