L’esperta del Radio tra i ragazzi di via Panisperna

a cura di Francesca Frassino

Un bicchiere di vino bianco sul tavolo; tacchi a spillo abbandonati in un punto a caso della stanza. La luce giallo-arancio dei lampioni, filtrata dalla nebbia, come unica fonte di luce; un vecchio CD gira nello stereo. Nella Mortara, in piedi, osserva il mondo che c’è fuori attraverso il vetro del balcone. Con quell’aria gentile e quelle movenze leggere sembra quasi voglia trasmettere la sua pacatezza. Si appoggia al muro, si volta a guardarmi e comincia a raccontarsi. Io, sprofondata sul divano, mi faccio trasportare dalla sua voce calda.

Nella Mortara mi dice di essere stata una delle prime fisiche sperimentali in Italia e ha lavorato all’Istituto di Fisica di Via Panisperna. Annuisce sorridendo alla mia espressione perplessa: sì, proprio quello dei “ragazzi di Via Panisperna”. Non c’erano mica solo Fermi, Majorana e compagni…  

Lei lavorava nell’Ufficio del Radio, specializzato nell’estrazione e nella purificazione del Radio e nella taratura di preparati radioattivi usati in sanità. Mi racconta che tra il personale dei laboratori del Radio e quello del laboratorio di fisica gestito da Enrico Fermi non c’era una stretta collaborazione, ma “i ragazzi” estraevano il Radon dal Radio che gli veniva donato dal laboratorio di Nella Mortara. In quei tempi – continua – si è giocato molto sulla speranza di avere una ricerca di punta tutta italiana e indipendente.

Di quegli anni in cui la fisica nucleare in via Panisperna stava facendo passi da gigante e sembrava molto promettente, spesso ci si dimentica di tutte le figure che hanno orbitato attorno al progetto e partecipato alla sua riuscita. A conferma di quello che mi è capitato di leggere, mi dice che c’era un netto distacco nell’essenza dei due laboratori: quello rigido e sofisticato di Fermi e quello più ruvido e autentico di Mortara.

Continua a guardare una città che pian piano scompare nell’oscurità, appoggiata al muro con le braccia incrociate. Io osservo il suo profilo illuminato dalla fioca luce dei lampioni.

Nell’Ufficio del Radio, lei si occupava dei metodi di taratura dei preparati radioattivi raccolti in tubi di vetro molto sottili (chiamati capillari) della lunghezza di 1 cm che poi venivano usati dal personale sanitario. Entusiasta, mi mostra il complesso apparecchio pieno di tubi utilizzato per l’intero processo di estrazione e pompaggio dell’emanazione del Radio, da lei anche descritto nel ’32 in un articolo apparso sulla Rivista di radiologia e fisica medica.

Apparato per l’estrazione e la purificazione dell’emanazione di Radio [Mortara, 1932, p.465]

Poi nel 1934 ottenne la libera docenza di fisica sperimentale alla facoltà di scienze dell’Università di Roma ma nel ’38 la sua vita cambiò radicalmente.

La sua voce si fa più malinconica mentre mi racconta della morte del padre e di quanto questo evento l’abbia devastata. Come se non bastasse – aggiunge – la promulgazione delle leggi razziali mise fine alla sua carriera accademica perché di origine ebraica. Fu infatti costretta a lasciare il suo lavoro all’Università, venne espulsa dalla Società italiana per il progresso delle scienze e – per salvarsi la vita – lasciò l’Italia, scappando in Brasile dal fratello.

I suoi occhi mostrano commozione e tristezza: mi racconta di non essere stata capace di restare lì con il rimorso di aver lasciato il resto della famiglia in pericolo. Quindi, sfidando le regole e la sorte, decise di tornare in Italia rifugiandosi in un istituto religioso fino alla Liberazione. Ricorda gli anni della guerra: essere costretta ad abbandonare ogni ambizione e vivere nel terrore di poter morire da un momento all’altro solo perché qualcuno ha deciso così. Ha degli occhi che parlano, Nella Mortara.

La musica continua a risuonare nella stanza creando, con l’aiuto della luce e della nebbia, un’atmosfera un po’ noir.

Le dico di aver letto solo cose belle sul suo conto. Molte testimonianze dei suoi allievi la ricordano come una figura gentile e rigorosa ed estremamente importante per la loro formazione. Quello che viene fuori, leggendo di lei, è l’immagine di una donna preparata e disponibile; una guida esigente ed affettuosa quando necessario.

Al termine della guerra le fu restituita, senza indugi, la cattedra alla facoltà di fisica. Poi, nel 1958, si spostò all’Istituto Superiore di Sanità. Lì divenne assistente di Daria Bocciarelli, un’altra grande fisica italiana, nei laboratori di microscopia elettronica applicata alla fisica medica. Mi sarebbe piaciuto molto osservarle lavorare insieme, queste due menti eccezionali. Ma perché si sa così poco della loro carriera? Forse – mi permetto di aggiungere mentre Nella prende posto sul divano – se hai lavorato con i ragazzi di Via Panisperna, tutto il resto del tuo lavoro passerà in secondo piano oppure non verrà mai ricordato. Mi lancia uno sguardo un po’ ammonitore e un po’ complice.

Con un’aria fintamente di sfida, mi racconta che nel 1919 divenne coordinatrice della Scuola pratica per i corsi di fisica, ingegneria, matematica e chimica dell’Istituto di fisica di via Panisperna. Gran parte della sua carriera – continua – ha ruotato attorno all’applicazione della fisica sperimentale in campi che vanno dalla medicina alla musica, studiando e migliorando le strumentazioni e la loro messa in opera. Con soddisfazione mi parla del suo primo articolo in cui descrive l’andamento della caduta di tensione in funzione dell’intensità di corrente nei tubi per raggi X. Ma prima di passare all’Ufficio del Radio – dove riuscì ad  ottenere un metodo semplice ed efficace per la misurazione del coefficiente di diffusione dell’emanazione del Radio – le venne affidato il compito di capire la relazione tra la temperatura e la frequenza musicale campione di un diapason chiamato “Corista uniforme”, con l’obiettivo di ricavare un coefficiente di temperatura; e, negli anni ’20, ideò uno strumento per lo studio di apparecchi per la riproduzione elettrica del suono. Mi dice che dovrebbe essere ancora conservato tra gli strumenti storici del Laboratorio di Fisica dell’Istituto Superiore di Sanità.

Mentre le luci dell’alba spazzano via l’oscurità, proviamo a ragionare insieme sul perché sia particolarmente difficile trovare informazioni su di lei, sul suo lavoro e sui suoi studi. Non so se arriveremo mai ad ottenere una risposta. Il CD nello stereo ha smesso di girare da un pezzo e per lei è arrivato il momento di congedarsi, con quello stesso sorriso gentile di quando è arrivata.

E mentre cerco di dare un ordine al disordine della sera prima – con la luce fioca dei lampioni che ha lasciato il posto a deboli raggi di sole – è quasi inevitabile interrogarmi su tutte quelle scienziate ancora sconosciute che hanno contribuito al progresso scientifico italiano ed internazionale. E in questa società che ancora si divide in rosa e azzurro, mi piace pensare che ogni nome e ogni storia contano per dimostrare che la scienza non è mai stata di un solo colore.

Scopri la bibliografia

https://www.treccani.it/enciclopedia/nella-mortara_(Dizionario-Biografico)/

http://scienzaa2voci.unibo.it/biografie/885-mortara-nella/#biographicalProfile

Serena Risica, Giulio Grisanti; il deposito del radio e l’acceleratore cockcroft-walton (https://publ.iss.it/Items/GetPDF?uuid=3fe2bd76-92c6-451c-8f67-2d47179f76db)

Mortara N.; La caratteristica dinamica dei tubi per raggi X; 1932.

Luciano Maiani; fisica teorica nucleare e subnucleare all’istituto superiore di sanità: una breve storia molto personale

Francesca Frassino
Francesca Frassino

Laureata in chimica, considero la scienza l’espressione massima del genere umano e mi piace raccontarla. Appassionata di biografie per la sensazione che resta quando si concludono: aver vissuto in ogni epoca e in ogni strada ed aver creato un legame con il personaggio di turno. Per questo scrivo storie in prima persona.
L’espressione che maggiormente mi rappresenta è: “Sono io Paperino!”

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